Vai al contenuto

Il “Combattimento di Tancredi e Clorinda” nella versione di Giorgio Federico Ghedini

    L’efficace trascrizione del madrigale monteverdiano per la Suvini Zerboni (Milano, 1949)

    La coreografa e danzatrice Susanna Egri – Teatro La Fenice (1956)

    Considerata per molto tempo pagina minore in rapporto ad una effettiva produzione compositiva originale, la trascrizione del monteverdiano “Combattimento” si inserisce nell’ambito della Monteverdi Renaissance all’indomani del Secondo Dopoguerra, e raggiunge vasta notorietà di critica e pubblico grazie alla capacità del maestro cuneese di rendere efficace tale composizione per la complessa orchestra lirico-sinfonica del periodo.

    Ghedini e Claudio Monteverdi

    È possibile che l’interesse del compositore cuneese per Claudio Monteverdi sia nato in giovane età, anche se non disponiamo di notizie precise in merito. La prima prova documentaria è datata 1937: consta di una trascrizione, anch’essa per strumenti “moderni”, del madrigale “Con che soavità” SV139 (Settimo Libro di Madrigali monteverdiani), per soprano e archi, rimasta inedita, di cui si conserva l’autografo alla Biblioteca del Conservatorio di Musica “Verdi” di Torino. L’attenzione di Ghedini su Monteverdi copre un lasso di tempo, per quanto oggi documentabile, appunto dal 1937 al 1953. In questi 18 anni Ghedini trascrive altre 4 grandi composizioni riguardanti il Maestro di Cappella della Basilica di San Marco a Venezia:

    • 1937: Con che soavità (inedito)
    • 1949: Combattimento di Tancredi e Clorinda (Milano, Suvini Zerboni)
    • 1950: Magnificat a 7 voci (Milano, Suvini Zerboni)
    • 1952: Vespro della Beata Vergine (Milano, Suvini Zerboni)
    • 1953: L’incoronazione di Poppea (Milano, Ricordi)

    Leggi anche: Vita di Giorgio Federico Ghedini

    Suvini Zerboni e Ricordi

    Si noti come per tutte le pubblicazioni a stampa riguardanti Monteverdi, tranne che per il caso dell’Incoronazione di Poppea, Ghedini si sia affidato alla Suvini Zerboni, anziché alla Ricordi, suo stabile referente editoriale. Non esiste notizia di una specifica documentazione in proposito, né una logica motivazione. L’ipotesi è che Ghedini, dopo uno o più tentativi di pubblicare Monteverdi con Ricordi, vista la risposta presumibilmente negativa di quest’ultima, si sia rivolto a Suvini Zerboni, che colse naturalmente l’occasione al volo. Probabilmente la Ricordi non credeva nella possibilità di un successo editoriale in merito. Furono quasi certamente i volumi di vendita delle prime tre pubblicazioni monteverdiane a stampa alla base del successivo ripensamento della Ricordi nel 1953.

    Ghedini e la ricerca musicologica nel campo della trascrizione

    Il problema di una ricostruzione temporale circa l’interesse di Ghedini su Monteverdi, come del resto per molti altri compositori antichi (vanno citati almeno i casi di Andrea Gabrieli e Girolamo Frescobaldi) è accentuato anche dall’atteggiamento che la ricerca musicologica ebbe in merito, ancora in vita l’autore, e negli anni successivi. Nonostante un certo impegno profuso nella ricostruzione dell’evoluzione del pensiero musicale ed estetico di Ghedini, la trascrizione venne valutata in maniera marginale e secondaria rispetto ad una produzione originale ed inedita. Il quadro è quindi quanto meno manchevole, e in molti casi insufficiente, alla luce di questa particolare prospettiva.

    Vedi allegato: 2 – Catalogo Barblan, il paragrafo dedicato alle trascrizioni di Ghedini

    Il “Combattimento” e la versione del Ghedini

    L’operazione di trascrizione delle opere di Monteverdi, a cominciare naturalmente dal “Combattimento”, è specchio del contesto storico tipico della prima metà del Novecento, sia a livello musicale che culturale. Ne emerge una tendenza alla riscoperta della musica italiana “antica”, a cominciare proprio da compositori quali Monteverdi. I primi tentativi di trascrizione monteverdiana in tempi moderni sono legati a personaggi, tutti in qualche modo legati anche al circuito del Liceo di Bologna: Luigi Torchi, Alceo Toni, Virgilio Mortari e Gian Francesco Malipiero. In realtà, non possiamo presumere un vero e proprio clima di collaborazione tra i vari musicisti: sono riconducibili proprio agli Anni ‘30 varie critiche epistolari riservate di Malipiero all’indirizzo di Toni. Alceo Toni aveva acquisito un ruolo politico di rilievo nell’organizzazione fascista, proprio mentre da quell’ideologia Malipiero cominciava a prendere le distanze. Lugi Torchi era deceduto nel 1920, ma i rapporti anche con Malipiero, e soprattutto con Virgilio Mortari a Venezia, sono ampiamente documentati. È quindi evidente che Ghedini abbia avuto a sua disposizione tutti i mezzi documentari, anche all’indomani del Dopoguerra, per conoscere quanto fosse stato realizzato in merito dai suoi predecessori.

    Vedi allegato: RODOLFO BARONCINI, Tabella trascrizioni “Combattimento”, periodo 1891-1951

    Vedi allegato: Frontespizio del “Combattimento” nella versione di Luigi Torchi, 1897

    I modelli precedenti e le differenze

    Luigi Torchi si era distinto per un ideale di «pulizia» anche visiva della scrittura monteverdiana: visione che era stata ritenuta superata da Alceo Toni, e sostituita da una ricca armonizzazione e riorganizzazione ritmico-melodica, adeguata ai tempi (1921). Probabilmente è da Torchi che Ghedini eredita l’idea di un organico che preveda, al posto dei Violini I e II, tre Viole da brazzo, con la denominazione, forse un po’ forzata, di «Soprano», «Alto» e «Tenore». È evidente il riferimento alla Prefazione al Combattimento, redatta da Monteverdi nel 1638 ed inserita nel libro parte originale a stampa del basso continuo.

    Accanto agli espliciti riferimenti non mancano naturalmente le differenze. L’idea di riproporre una «proportio originalis» come fece Torchi, è ritenuta inefficace dal Ghedini: il maestro cuneese scrive per i musicisti dell’oggi, difficilmente in grado di gestire valori lunghi come brevi e semibrevi con la corretta pulsazione. Il concetto di una esatta scansione metronomica, che Ghedini esplicita in ogni sezione, è funzionale al gesto del direttore d’orchestra degli Anni ’50, che deve essere di estrema precisione, visto che è rivolto ad un gruppo non di solisti, bensì a una massa orchestrale più o meno grande.

    Leggi anche: Claudio Monteverdi e il Combattimento di Tacnredi e Clorinda

    La compagine monteverdiana per Ghedini

    Per Ghedini, l’organico orchestrale è l’effettivo protagonista del “Combattimento”. Pensata per i grandi Teatri lirici e per le stagioni sinfoniche, la massa strumentale è numericamente significativa anche quando si tratta di un repertorio per definizione «antico»: ossia, adatto ad un utilizzo cameristico. L’aspetto solistico delle parti, contrapposto a quello di “fila” strumentale, è da Ghedini scrupolosamente indicato. Di fatto, al gruppo dei solisti ad arco (le 3 viole sole, I II e III, il violoncello solo), si contrappongono i musicisti “di fila”: presumibilmente, il gruppo d’archi risulta alla fine formato da almeno 9 viole, 3 violoncelli, e uno oppure due contrabbassi. Di fatto, una vera e propria orchestra da camera di medie dimensioni.

    Ruolo a parte hanno i due strumenti che devono sostenere le sezioni dei recitativi del “Combattimento”, il clavicembalo e l’arpa. Mentre l’arpa sin dalla seconda metà dell’800 aveva raggiunto una sua conformazione organologica e tecnologica adeguata alle necessità lirico-teatrali, il clavicembalo soffriva di una riscoperta relativamente recente e non priva di profonde contraddizioni. Negli Anni ’50 del ‘900 gli strumenti di riferimento erano quelli realizzati da Wittmayer, Sperrhake e Neupert. Prediletti da Wanda Landowska, erano stati i protagonisti della prima fase di riscoperta europea della musica antica agli inizi del secolo. Di fatto, si trattava di una rielaborazione “moderna” dello strumento a tastiera con pizzico, che poco o nulla aveva a che fare con i clavicembali originali del ‘500-‘700. Per di più, come aveva annotato Malipiero in alcune occasioni, il suono di tali strumenti risultava poco gradito agli stessi compositori e direttori, per l’evidente componente metallica. Non è un caso che la scelta d’orchestrazione di unire il clavicembalo dell’epoca, di fatto uno strumento percussivo, al suono dell’arpa, particolarmente adatto nelle sezioni emotivamente più intense, fosse divenuta all’epoca una prassi comune.

    Vedi allegato: Prima pagina del “Combattimento” di Ghedini, autografo (1949)

    L’ideale vocale

    Gli strumenti “moderni” suonano ad almeno un semitono più alto rispetto al Seicento, e il sistema di accordatura è quello equabile, per non parlare delle evidenti modifiche tecnologiche. Ghedini è perciò conscio che la scrittura monteverdiana, applicata pedissequamente agli strumenti contemporanei, sarebbe divenuta quanto meno controproducente. Inevitabile quindi l’adozione di soluzioni di compromesso. La prima, e anche la più importante, è l’uso di un mezzo soprano anziché del tradizionale tenore per la parte di Testo. La seconda riguarda la necessità di realizzare passi e momenti scenici del madrigale con una diversa logica ritmico-metrica, che sia però rispettosa del testo originale Tasso-Monteverdi. Su questo aspetto, è evidente che Ghedini si rifaccia alla lezione di Malipiero, che in effetti emenda il testo originale dalle numerose modifiche (sillabiche e testuali) che Alceo Toni aveva arbitrariamente effettuato, in nome di una “purezza” stilistica degli originali endecasillabi tassiani.

    La danza e la diffusione della trascrizione Ghedini

    La classificazione dell’esatta scansione metronomica di tutte le sezioni del “Combattimento”, ed anche il calcolo a priori di tutti i cambiamenti ritmico-metrici correlati al testo del madrigale, è legata ad un fenomeno che proprio con il Secondo Dopoguerra comincia ad imporsi nella tradizione interpretativa monteverdiana, ossia il commento coreutico all’azione musicale. Gli allestimenti dei principali teatri di tradizione nazionali (Milano, Venezia, Napoli, Palermo) documentano la realizzazione di apposite coreografie, da contrapporsi ad una effettiva staticità dei cantanti, che vedono per protagonisti le etoiles dei relativi corpi di ballo: Ugo Dall’Ara e Luciana Novaro, prime parti del corpo di ballo del Teatro alla Scala; Susanna Egri e Alberto Testa, loro omologhi alla Fenice. L’allestimento, almeno in questi due casi, vede di conseguenza un assetto tripartito della rappresentazione: musica strumentale (orchestra), musica vocale (cantanti) e azione (danzatori). Si tratta di una soluzione interpretativa data oggi per scontata, ma all’epoca certamente innovativa.

    Vedi allegato: Teatro La Scala, Milano, stagione 1950-51, Ugo dell’Ara e Luciana Novaro

    Una straordinaria stagione di successi

    La trascrizione di Ghedini ebbe un inaspettato successo tra gli Anni ’50 e ’70, con allestimenti nei teatri La Scala di Milano (1950-1951), San Carlo di Napoli (1951-1952), Massimo di Palermo (1954-1955), Fenice di Venezia (1955-1956). Ne è documentato l’utilizzo in Germania, Francia, Romania, Spagna, Ungheria, Svizzera, Jugoslavia, USA, Brasile, Argentina. Incisioni discografiche si alternano a cortometraggi e produzioni radiofoniche. La partitura ghediniana è utilizzata da direttori d’orchestra quali Nino Sanzogno, Edwin Loeher, Günther Kehr, Renato Fait, Angelo Ephrikian, Ettore Gracis. Partecipano agli allestimenti cantanti di fama: Giulietta Simionato, Giacinto Tositti, Rodolfo Malacarne. Accanto agli allestimenti e ai concerti, molto interessante è la produzione discografica, a cominciare da una registrazione live del “Combattimento” realizzata da Nino Sanzogno per il Teatro San Carlo di Napoli nel 1952. Ma esistono registrazioni in vinile e radiofoniche per la Vedette, Vox, Fratelli Fabbri, Radio Svizzera Italiana, e molte altre etichette. Né mancano presumibili utilizzi della colonna sonora del “Combattimento” in almeno due allestimenti cinematografici e televisivi: la versione coreutica realizzata da Luigi Di Gianni per la Rai nel 1956 e il cortometraggio di Enrico Fulchignoni “Le combat de Tancrède et Clorinde”, premiato alla XIX Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (1958).

    Ghedini e la moderna Monteverdi Renaissance

    Dalla fine degli Anni ’70, la versione Ghedini perde progressivamente il ruolo di partitura guida per le orchestre lirico-sinfoniche tradizionali. Con gli anni ’80, infatti, il fenomeno della filologia musicale, applicata al repertorio della cosiddetta “musica antica” (secc. XVI-XVIII), comincia a prendere piede anche in Italia, grazie all’utilizzo di strumenti musicali copie degli originali ed al recupero delle relative prassi esecutive, sia strumentali che vocali. La trascrizione Ghedini assume di conseguenza nel tempo i tratti di un testo musicale desueto, da confinare per di più a capitolo di relativo interesse, rispetto a una originale produzione musicale dell’autore.

    Le celebrazioni del 2024

    Il 2024 non è quindi solo la ricorrenza dai quattrocento anni dalla prima esecuzione documentata del monteverdiano “Combattimento di Tancredi e Clorinda” (1624), ma anche il 75mo anno dalla pubblicazione a stampa realizzata dalla casa editrice milanese Suvini Zerboni della trascrizione ghediniana (1949). Fermo restando il valore assoluto dell’originale tassiano-monteverdiano, le storiche riletture realizzate da musicisti come Giorgio Federico Ghedini assurgono ad un peculiare ruolo e valore, giacché sottolineano la funzione di trasmissione consapevole di un’importante testimonianza musicale in una storica fase di passaggio socioculturale qual è stato il XX secolo.

    Massimo Salcito


    4 secoli di Combattimentodi Tancredi e Clorinda

    Un progetto di Massimo Salcito

    Immagini

    • Susanna Egri nel ruolo di “Clorinda” (Venezia, Teatro La Fenice, allestimento del 1956)
    • Locandina dell’allestimento “Combattimento di Tancredi e Clorinda” (Milano, Teatro La Scala, allestimento del 1951

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *